martedì 1 marzo 2011

La morte del Padrino

Giacobbe, un Padrino in vita e in morte
L'uguaglianza tra gli uomini è una mera utopia. Non nasciamo tutti nelle stesse condizioni, non viviamo tutti allo stesso modo, e coerentemente nemmeno quando tocca lasciare questo mondo lo facciamo tutti alla stessa maniera. C'è morte e morte. E quella di Giacobbe, che di fatto chiude il primo libro della Bibbia, ovvero la Genesi, è senz'altro una morte extralusso, degna di un vero Padrino.
Che Giacobbe fosse un tipo al di sopra della massa, del resto, lo si era già ampiamente capito (vedi questo post e i successivi). Lo conferma l'accoglienza trionfale che riceve in Egitto da parte del faraone (capitolo 47), che lo tratta con grande deferenza perché è il padre del suo stimatissimo viceré, Giuseppe: il vecchio patriarca, i suoi figli, nuore e nipoti possono stabilirsi a loro piacere nel territorio di Gosen, il più fertile dell'Egitto, dove conducono un'esistenza serena e florida.
A 147 anni suonati, Giacobbe sente che ormai la sua lunga vita sta giungendo al termine. Convoca quindi il suo prediletto Giuseppe per esprimergli le sue ultime volontà: "Metti ora la tua mano sotto la mia coscia e promettimi che non mi seppellirai in Egitto". Chiariamo subito a scanso di equivoci: questa storia della mano sotto la coscia, che letta così suona come un inquietante approccio sessuale, pare sia semplicemente un gesto che nella cultura giudaica dell'epoca accompagnava i giuramenti solenni. E in effetti Giuseppe, tastandogli le cosce, giura al padre che lo seppellirà nel sepolcro dei suoi antenati, ricevendo in cambio la benedizione paterna. Ma è solo la prima delle benedizioni ante-mortem del Padrino: la seconda (capitolo 48) è riservata ai figli di Giuseppe, Manasse ed Efraim. Dimostrandosi ancora scaltro nonostante l'età e la malattia, Giacobbe decide deliberatamente di incrociare le mani, impartendo la sua benedizione con la destra (la più importante) al nipote minore Efraim anziché al maggiore Manasse: in questo modo rinnova a due generazioni di distanza quello che lui stesso era riuscito a fare "rubando" al fratello maggiore Esaù la benedizione del babbo Isacco (vedi qui).
Per finire in grande stile (capitolo 49), Giacobbe convoca quindi tutti i suoi 12 figli, a ciascuno dei quali riserva un breve verso che è una via di mezzo tra una benedizione e una profezia alla Nostradamus, gravida di metafore e allusioni: particolarmente curiosi i pensieri rivolti a Giuda ("Sei come un giovane leone che ha ucciso la sua preda e torna alla sua tana, come una leonessa sdraiata e accovacciata: chi oserà farti alzare?"), Issacar ("E' come un asino robusto gravato dalle ceste") e Beniamino ("E' come un lupo rapace che al mattino caccia le prede e alla sera divide le spoglie"). Roberto Giacobbo, illuminaci tu!
Una volta esalato l'ultimo respiro, Giacobbe viene imbalsamato (specialità della casa: ecco il vantaggio di morire in Egitto...), e in tutto il Paese si proclama un lutto di 70 giorni, al termine dei quali Giuseppe guida il corteo funebre per andare a seppellirlo in Palestina, come aveva giurato: oltre ai fratelli, lo accompagnano tutti i dignitari dell'Egitto, i funzionari del faraone, carri da guerra e cavalieri. Il Padrino Giacobbe è morto e sepolto.
Il suo erede, Giuseppe, muore a 110 anni, viene a sua volta imbalsamato ma il suo corpo rimane in un sarcofago in Egitto, senza essere portato nella terra dei suoi padri come avrebbe voluto. Poco da fare, il vero Padrino è uno solo. La Genesi è finita. Avanti con l'Esodo, per chi avrà tempo e voglia di seguirmi...

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