venerdì 28 gennaio 2011

Giacobbe for president/1: il cocco di mamma

Giacobbe ed Esaù: solo uno è il cocco di Rebecca
Peccato che Giacobbe sia morto e sepolto da qualche migliaio di anni. Date le attitudini che ne emergono nel racconto biblico (Genesi, capitoli 28-35), avrebbe tutte le carte in regola per presentarsi come candidato premier alle prossime elezioni politiche in Italia e sbaragliare la concorrenza.
Se abbiamo imparato qualcosa dalla storia recente del nostro Paese, infatti, è che un candidato riesce ad ottenere il favore della gente e a guadagnare più consensi se:

  1. è il 'cocco di mamma', legato a lei da un rapporto di amore e complicità speciali;
  2. dispone di un ampio harem che ravviva il suo estro sessuale anche negli anni della vecchiaia;
  3. è un uomo ricco che si è fatto da solo;
  4. sa abilmente utilizzare queste ricchezze per accomodare rapporti con amici e nemici;
  5. si dichiara vittima degli eventi da lui stesso causati;
  6. applica alla perfezione la massima machiavellica - il fine giustifica i mezzi - non facendosi problemi a raggirare e turlupinare parenti, soci in affari, capi di stato, purché alla fine si salvino le apparenze e lui ne esca vincitore, più ricco, più potente e giustificato.

Tutte doti che Giacobbe dimostra di possedere, indimenticabile protagonista di Una Storia Italiana - pardon, palestinese... - troppo lunga per essere riassunta in un unico post. Ma andiamo con ordine. Abbiamo già visto come fin da subito Giacobbe piaccia decisamente di più a mamma Rebecca rispetto al peloso e puzzolente gemello maggiore Esaù, tanto che la donna escogita un piano grazie al quale l'eredità del padre Isacco viene destinata al suo cocco anziché al primogenito (vedi qui). Esaù sarà anche caprone, ma fin lì ci arriva: quando scopre di essere stato fregato, s'incazza e giura vendetta tremenda vendetta. Rebecca, per salvare la pelle al suo prediletto, invita allora Giacobbe a fuggire in Mesopotamia, trovando rifugio presso il caro zio Labano, fratello di lei. Ma non sta bene che sembri una fuga: cosa direbbe la gente? Salviamo le apparenze, per carità! Ancora una volta è il vecchio e cieco Isacco a essere manovrato inconsapevolmente dall'astuta moglie: grande sceneggiata di Rebecca ("A causa delle donne ittite sposate da Esaù ho perso il gusto di vivere. Se anche Giacobbe prende in moglie una Ittita, preferisco morire!" confida fintamente disperata al marito) e lui, bonaccione, per farla contenta ordina al figlio: "Va' in Mesopotamia, alla casa di Betuel, tuo nonno materno, e prendi in moglie una ragazza di là, una figlia di Labano, fratello di tuo padre" - ormai l'abbiamo capito: non c'è cosa più divina che sposarsi la cugina (meglio se bona). Così Giacobbe, come tremenda punizione per aver fregato eredità e benedizione paterna a Esaù, si becca un'altra benedizione e l'obbligo di andare in vacanza all'estero dallo zio ricco per scegliersi una cugina bona da sposare. Giustizia è fatta, mi pare evidente. Eppure, incomprensibilmente, Esaù ha ancora da ridire: quando assiste alla scena, ci resta pure male... Per consolarsi e guadagnare punti agli occhi di Isacco e Rebecca, il pelosone stavolta prova ad imitare il fratello: va da un altro zio, Ismaele, e si sposa la cugina Macalat, oltre due alle mogli ittite che già aveva. Ma il suo piccolo e improvvisato harem non gli basterà per diventare il candidato ideale; come vedremo nel post successivo, Giacobbe anche in fatto di donne e  poligamia farà di meglio e si confermerà il vero ed unico predestinato al successo.

lunedì 24 gennaio 2011

Più pilu per tutti

L'eredità di Giacobbe: questione di pilu
Non c'è che dire, l'argomento è di gran moda. Nei giorni in cui scrivo questo post, Antonio Albanese spopola al cinema con il suo Cetto La Qualunque, esilarante pseudo (ma neanche tanto pseudo...) politico che si accattiva il voto popolare promettendo Più pilu per tutti. Nel frattempo i giornali e i telegiornali sono invasi dai resoconti delle allegre feste a base di pilu che allietano le serate del più amato dagli italiani, altrimenti - sembrerebbe - abbandonato ad una noia sconfortante.
Che pilu e potere siano fortemente interconnessi non lo scopriamo certo oggi. Anche la Genesi, in modo singolare, tratta l'argomento. Siamo al capitolo 25 quando per la prima volta conosciamo i figli di Isacco e Rebecca, i gemelli Esaù e Giacobbe. Nascere per primi, in questo libro, non porta granché culo: come Caino non era stato considerato da Dio, che invece guardava con benevolenza Abele (da lì il raptus di gelosia che aveva portato il maggiore ad uccidere il minore ed essere per sempre additato come 'quello cattivo'), anche il primogenito Esaù avrà un destino decisamente più sfigato del fratello nato solo pochi minuti dopo, ma divenuto da subito il cocco di mamma Rebecca.
La caratteristica che contraddistingue Esaù è quello di essere coperto di peli come se avesse un mantello (pare che anche il nome, in ebraico, rimandi a qualcosa di simile). Questo aspetto animalesco schifa un po' la mamma - come darle torto? - e poco importa se al contrario il papà Isacco prende in simpatia questo fagottino peloso: come la Genesi - e la vita quotidiana - ci insegnano, alla fine il potere decisionale del marito, in una coppia, è più apparente che reale.
Esaù, del resto, si dimostra fin da subito un sempliciotto piuttosto tonto e inadatto a ricoprire ruoli di prestigio: cede al fratello i suoi diritti di primogenito per un piatto di pane e lenticchie. Aveva fame, e allo stomaco non si comanda. Non stupisce allora che la premiata ditta Giacobbe & Rebecca - due tipi scaltri e con pochi scrupoli di coscienza - metta nel sacco senza alcuna difficoltà lui e il vecchio Isacco, ormai cieco, quando si tratta di benedire l'erede. E qui è tutta questione di pilu: Giacobbe si 'traveste' da Esaù ricoprendosi dei vestiti del fratello e della pelle di due capretti. La mammina premurosa prepara per lui un pranzetto coi fiocchi alla Cotto & Mangiato, pronto da portare in regalo a Isacco. L'inganno del padre Isacco si consuma così in modalità polisensoriale: appagato nel gusto, il vecchio cieco,  tradito dal tatto e dall'olfatto, toccando e annusando Giacobbe si convince che sia in effetti Esaù e lo benedice solennemente come suo unico e legittimo erede. Impareggiabile la sfacciataggine del giovanotto quando rassicura il papà sulla sua identità: "Sei veramente mio figlio Esaù?"; "Certo!" - e qui Giacobbe si volta verso l'obiettivo della macchina da presa strizzando furbescamente l'occhiolino, tipico scugnizzo che ha imparato l'arte di arrangiarsi nei bassi napoletani. Da notare, ancora una volta, il fatalismo del capofamiglia che quando scopre l'inganno se ne lava bellamente le mani: "Padre, benedici anche me!", lo supplica Esaù; "Tuo fratello è venuto con un inganno e ti ha rubato la benedizione"; "Ma  tu padre, hai una sola benedizione? Benedici anche me!". Niente da fare: il pilu finto di Giacobbe ha ormai irrimediabilmente spodestato quello vero di Esaù. Mi piace pensare che, per consolarsi, il fratello maggiore abbia prenotato una seduta dall'estetista.

lunedì 17 gennaio 2011

Di razza corre cavallo

Abraham e Homer Simpson: tale padre, tale figlio
Tutti risentiamo dell'imprinting familiare. I nostri comportamenti, la nostra scala di valori, il nostro modo di pensare, di parlare e di agire è fortemente influenzato dagli esempi che ci sono stati forniti quotidianamente da genitori e parenti fin da quando eravamo bambini.
Non è un caso se mia mamma, quando mi rimprovera per il disordine o la testardaggine, accompagna  la lamentela specifica ad un ritornello invariabile e immancabile: Te sì compagno de to pare! (Sei identico a tuo padre!). Al che, altrettanto immancabilmente, mio padre risponde sornione: Cossa vuto farghe, de razza corre cava'eo... (Che ci vuoi fare, di razza corre cavallo...), come a dire che da un cavallo poco addomesticabile non può che nascere un cavallo poco addomesticabile.
Allo stesso modo i discendenti di Abramo, protagonisti dei capitoli seguenti della Genesi, si confermano suoi eredi perfetti in tutto e per tutto: puledri abramiti di razza purosangue.
Isacco, figlio di cotanto padre, prosegue l'ottima tradizione di prendersi una moglie bona (Rebecca), che inevitabilmente è anche una sua cugina, e che comunque non ha problemi a spacciare come sua sorella pur di non essere ucciso da altri pretendenti - esattamente come aveva fatto Abramo: vedi qui. Si raggiunge quasi un effetto Cinepanettone con il re di Gerar, Abimelech, nel ruolo di uno sfigatissimo Massimo Boldi: proprio lui, che qualche anno prima si era convinto di potersi spupazzare la bonazza Sara, pensando che fosse la sorella e non la moglie di Abramo, adesso per lo stesso motivo fa un pensierino anche a Rebecca, la bonazza di seconda generazione, restando però ancora una volta a bocca asciutta.
Si conferma poi la tradizione di inventare nomi fantasiosi per gli eredi della famiglia - per ricordare com'è iniziata, vedi qui. Giusto qualche esempio preso qua e là: i fratelli Uz & Buz (si direbbe una coppia di minacciosi rapper del Bronx), qualche ideale progenitore dei Gormiti (Idlas, Betuel e Zocar), una pasticciera specializzata in cioccolatini al latte (Milca), un romano sempre di fretta (Core), un tipo molto focoso (Arde) una coppia di comici siciliani buoni per Zelig (Samma & Mizza), un tizio con un nome da colluttorio (Ioksan), uno da grande magazzino (Uppim), una da supermercato (Bila), uno che avrebbe potuto fare il pilota (Massa), e una che poteva candidarsi alle presidenziali USA (Oolibama).
Oltre alle abitudini, si trasmettono alle generazioni successive anche gli inossidabili geni degli highlander - vedi qui. Quando nasce Isacco, Abramo ha 100 anni tondi, sua moglie Sara è primipara a 90; lei morirà ancora giovane (a 127), quindi lui giustamente si consolerà, si risposerà (con Chetura) e avrà nuovi figli da lei e da altre donne, prima di morire felice a 175 anni. Non stupisce allora che Isacco campi 180 anni. Come dice sempre mio papà, di razza corre cavallo. In quale dinastia dei nostri tempi questo proverbio conferma maggiormente la sua validità? Potete esprimere una preferenza utilizzando il sondaggio nella colonna di destra.

mercoledì 12 gennaio 2011

Più incestuosi dei Forrester

Lot e le sue figlie: un incesto che fa impallidire Beautiful
Le vicende amorose della famiglia Forrester, protagonista della saga di Beautiful, sono davvero ingarbugliate. C'è gente che si sposa, divorzia, e si risposa fino a sei volte (Ridge e Brooke), gente che si passa un'intera famiglia (tanto Eric quanto i suoi figli - Ridge e Thorne - hanno potuto apprezzare le arti amatorie di Brooke), gente che contrae fino a dodici matrimoni con persone diverse (Brooke), gente che non disdegna di portarsi a letto il suocero e il genero (indovinate chi, per dirne una? Ma certo, Brooke!). In sostanza, la serie è caratterizzata da una 'sospensione della moralità' accettata con simpatia dagli spettatori, che anzi si divertono a vedere consanguinei che si tradiscono, si scambiano le parti e i partner, sfiorando talvolta l'incesto.
Appunto, sfiorando. Nella Genesi, invece, i nostri eroi valicano senza tanti convenevoli anche questo tabù: se vi entusiasmano gli azzardi sessuali tra i Forrester, non potrete che diventare dei fan sfegatati della 'Lot's family'.
Già, sempre lui: Lot, il nipote di Abramo, che abbiamo già ammirato come amorevole padre di famiglia  (vedi post precedente), quando propone agli abitanti di Sodoma di violentare a piacere le sue figlie ancora vergini invece di attentare alle virtù degli angeli.
Una famigliola a modo, s'intuisce. Neanche il tempo di finire il capitolo 19, ed ecco un bell'incesto multiplo. L'idea birichina è della figlia maggiore di Lot: "Facciamo bere nostro padre e passiamo la notte con lui: così avremo dei figli da nostro padre!". La minore non si fa certo pregare. In due notti di fila, due ubriacature al vecchio (connivente? L'autore biblico sottolinea che "non se ne rese conto", ma dubito che un giudice contemporaneo lo assolverebbe...), e così prima la maggiore, poi la minore restano incinte dell'augusto genitore. Al quale, dobbiamo dirlo, va perlomeno riconosciuta una prolificità da record: 100 per 100 di successi, gli spermatozoi più fecondi della storia. I figlinipoti di Lot - una roba talmente contronatura e antisociale che non esiste un termine esatto per definirli - vengono chiamati Moab e Ben-Ammi. Brooke, che si è limitata ad assegnare nomi piuttosto ordinari - Rick, Bridget, Hope, R.J. e Jack - ai suoi quattro figli concepiti con tre generazioni di Forrester, si rode d'invidia.

domenica 9 gennaio 2011

C'è chi c'ha la moglie bona...

La t-shirt ideale per Abramo
Così cantava Nino Frassica in una canzone scritta da Renzo Arbore ai tempi di Indietro Tutta. Tra gli sfortunatissimi fortunati che hanno al loro fianco una donna molto avvenente, c'è anche il capostipite delle tre grandi religioni monoteiste (cristianesimo, islamismo, ebraismo), ovvero Abramo.
La moglie bona in questione è Sarai - nota linguistica: Dio deciderà di togliere la 'i' finale e chiamarla Sara (che in ebraico significa principessa) a partire dal 17mo capitolo della Genesi.
Quando Abramo, a causa di una carestia, deve emigrare in Egitto (capitolo 12), la bellezza di Sarai rischia di diventare un serio problema: il 'nostro' teme che gli egiziani, pur di metterle le mani addosso, lo ammazzino. Ecco il colpo di genio: "Di' loro che sei mia sorella, così invece di uccidermi mi tratteranno bene!". Risultato: il faraone si piglia Sarai come moglie, e Abramo riceve in dono pecore, buoi, asine, asini, serve e servi. Becco e contento. Ma Dio non approva, e per farlo capire colpisce il faraone con gravi malattie: è la prima volta che l'Egitto si becca una piaga divina, vedremo che diventerà un'abitudine ricorrente...
Già qui si intuisce come il rapporto di coppia tra Abramo e Sarai abbia più di un problemino. E anche la concezione della donna all'epoca non pare tra le migliori. Conferme in entrambi i sensi arrivano nei capitoli seguenti. Convinta di essere sterile, Sarai dice ad Abramo di provare a mettere in cantiere l'erede con la sua serva Agar. Un utero in affitto dell'epoca, insomma. Ancora una volta,  un po' come Adamo, Abramo si dimostra un maschio tipico, che accetta ed esegue senza discutere il volere della moglie ("se proprio insisti..."). Anche Sarai becca e contenta, allora? Eh no, ragazzi: questa è una femmina. Quando nasce il pargolo (Ismaele), Sarai è gelosa della sua serva, e chiede ad Abramo di allontanarla. Tanto per cambiare, grandiosamente da maschio tipico la risposta di Abramo: "La schiava è tua, pensaci tu". Ci vuole di nuovo l'intervento di Dio per accomodare le cose: Agar torna alle dipendenze di Sarai, con la promessa che comunque anche suo figlio Ismaele avrà una lunga discendenza, sia pure meno importante di quella di Sara, che sarà in seguito finalmente nobilitata divenendo madre di Isacco.
Tutto a posto una volta per tutte, allora? Macché. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Abramo si trasferisce a Gerar, e per mettersi al riparo da ogni problema dice al re locale Abimelech di pigliarsi pure la bellissima Sara come moglie, spacciandola di nuovo per sua sorella. Becco e contento: più che un motto, una filosofia di vita. Anche Sara conferma questa versione dei fatti, costringendo Dio a dare il suo solito segnale di avvertimento (disgrazie al malcapitato re di turno) per evitare a tutti di combinare un gran casino.
L'episodio forse più significativo sulla grande considerazione di cui godevano le donne a quel tempo (specialmente nella famiglia di Abramo), è però quello del capitolo 19: la distruzione di Sodoma e Gomorra. Gli angeli mandati da Dio per valutare la situazione vengono ospitati a Sodoma da Lot, nipote di Abramo. L'infoiatissima popolazione locale dà l'assalto all'abitazione: tutti, giovani e vecchi, vogliono violentare i due angeli. Lot esce di casa e parla alla folla per risolvere la situazione, dimostrandosi degno nipote di suo zio. Cito testualmente il mirabile discorso: "Fratelli miei, vi prego, non fate una simile malvagità. Datemi ascolto! Io ho due figlie ancora vergini. Ve le porterò fuori e potrete farne quel che vorrete, ma non toccate i due uomini: sono miei ospiti". Meno male che alla fine gli angeli si fanno giustizia da soli...
Comunque, la moglie bona - ma anche la figlia - all'occorrenza può sempre tornare utile. E voi, sareste mai tentati di accettare una 'proposta indecente'? Qualche spunto nel sondaggio sulla destra.

martedì 4 gennaio 2011

Briatore? Un dilettante...

Nathan Falco: un nome banalotto...
Quando Flavio Briatore ed Elisabetta Gregoraci hanno annunciato il nome scelto per il loro bimbo (Nathan Falco), così come quando Francesco Totti ed Ilary Blasi hanno comunicato al mondo la gioia per l'arrivo della prima femminuccia (Chanel), l'opinione pubblica si è spaccata in due. Una parte - i sani di mente - ha compianto il destino del povero neonato, condannato alla derisione da parte degli amici dall'asilo alla terza media. Un'altra parte - quelli 'tròòòppo avanti' - ha apprezzato l'originalità, magari cominciando a ipotizzare una rosa di nomi altrettanto originali da affibbiare in futuro ai propri pargoli per distinguerli (e distinguersi) dalla massa, stupire gli amici, causare un infarto alla suocera. Non necessariamente con questo ordine di priorità.
Se siete tra quelli 'tròòòppo avanti', il capitolo 10 della Genesi vi offre una sessantina di spunti davvero strampalati: Sem, Cam e Iafet, i figli di Noè, forse per vendicarsi sulle generazioni successive dei nomi improbabili capitati loro in sorte, hanno a loro volta scelto nomi improbabili per i propri pargoli. Come nelle peggiori catene di Sant'Antonio, si è così trasmessa di generazione in generazione un'aberrante tradizione di famiglia: fare a gara nell'affibbiare alla prole nomi ai limiti della pronunciabilità. Nathan Falco, al confronto, risulta banalotto e insipido, con buona pace di Flavio & Eli.
Anche a me questo repertorio biblico tornerà senz'altro utile. Per mestiere, infatti, mi capita talvolta di dovere inventare il nome con cui lanciare sul mercato un nuovo prodotto, un'azienda, un progetto o un evento. Non è così semplice come potrebbe sembrare. Il mio maestro Massimo Morelli mi ha riferito il trucco di un copywriter molto quotato in questo genere di attività - in gergo si definisce naming: quando era in difficoltà, magari dopo il terzo giro di proposte accolte tiepidamente dai committenti, questo genio apriva le pagine dell'elenco telefonico di Ibiza alla voce 'locali pubblici'. In un attimo, ecco pronte centinaia di nomi spagnoleggianti, uno più stuzzicante dell'altro, perfetti per ogni cosa - dallo shampoo antiforfora al fondo di investimento - e più volte proposti con grande successo ai clienti.
Direi che questa pagina della Genesi mi offre valide opzioni salvagente in diversi ambiti:
- almeno tre nomi per un nuovo software antivirusNimrod, Laab, Recobot-Ir
- tre per un nuovo farmaco potenziatore della virilitàTiras, Tubal, Amorrei
- tre per vaticinatori/maghi da tv locale: Magog, Patros, Raama
- tre per uno yogurt con effetti lassativi: Ofir, Ioctan, Iobab
- uno per uno studio di chirurgia plastica: Rifat
- uno per un nuovo combustibile: Naftuc
L'utilizzo senz'altro più indicato, comunque, è quello delle nuove linee di mobili Ikea. A questo proposito, quale vi ispira di più? Rispondete utilizzando il sondaggio sulla destra.

sabato 1 gennaio 2011

Piove che Dio la manda

L'arca - disegno di Tom Dubuois
Eccolo, il Diluvio. Per conoscerlo Noè deve aspettare di compiere 600 anni; io, lettore, il tempo di scorrere 6 brevi capitoli della Genesi. La modernità ha tempi decisamente più ristretti.
Anche perché Dio, all'inizio del capitolo 6, capisce che deve darci un taglio con gli highlander figlianti come conigli fino a 900 anni, altrimenti la Terra rischia di scoppiare. Il nuovo limite che pone per la vita degli uomini è di 120 anni. Ci possiamo accontentare, dai - e lo vedi che anche stavolta Silvio ci ha preso, indicando come suo obiettivo proprio il raggiungimento di quell'età precisa? Vecchio volpone.
"Gli uomini e le donne sono lussuriosi e malvagi. Sai che c'é? Io li ho fatti, io li distruggo". Questo Dio sembra parecchio irascibile e un po' umorale. Tanto è vero che ci ripensa subito: visto che Noè è l'unico a vivere ancora secondo le sue intenzioni, attraverso di lui l'umanità potrà salvarsi. Grazie, patriarca.
E così, ecco il nostro aitante seicentenne a costruire l'arca in cui ospitare figli, moglie, nuore e animali di ogni sorta. Le dimensioni indicate dal Capo, per la verità, non sono granché per tutta 'sta gente: un appartamentino galleggiante di 150 metri x 25, altezza 15. Almeno si può soppalcare. Mi immagino un clima abbastanza soffocante e le code interminabili ai bagni per i 40 giorni e le 40 notti in cui piove che Dio la manda. Tra l'altro, era proprio il caso di portare tutti gli animali di ogni genere? Non era l'occasione buona per liberarsi di qualche specie inutile e molesta? Dite la vostra rispondendo al sondaggio sulla colonna di destra.
Anche quando non pioverà più, l'acqua ci metterà circa un anno a calare del tutto fino a rendere la terra nuovamente abitabile. Qualche giorno prima, per verificare la situazione, Noè libera una colomba, che ritorna con un ramoscello d'ulivo: da ignorante, non sapevo che proprio da questo passo biblico nascesse l'icona della colomba come simbolo di pace (nel nostro caso, tra Dio e gli uomini). Poco oltre, ecco comparire anche la prima bandiera arcobaleno della storia: Dio dice che l'arco colorato tra le nubi è e sarà sempre il segno della sua promessa fatta agli uomini di non distruggere mai più ogni vivente.
Pace fatta, allora. Ma nel banchetto di festeggiamento niente tagliata alla rucola o bistecca alla fiorentina: "Vi do per cibo tutto ciò che si muove e ha vita. Non dovrete però mangiare la carne con il sangue, perché nel sangue c'è la vita".
Cacchio, a me il filetto piace proprio sanglant. Se si scatenasse un altro diluvio, sapete con chi prendervela.